Walter Trout Survivor Blues

Walter Trout Survivor Blues

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Descrizione

Walter Trout non è un bluesman  qualunque: nonostante una vita che ha recentemente messo alla prova la sua forza d’animo sfidandolo con una malattia tra quelle più impietose ed alla quale ha saputo rispondere con un bel “vai a farti fottere”, non ha mai smesso di suonare guidato dalla passione e dal cuore, dando alla luce, in tempi bui, ad un album così profondo ed intimo come Battle Scars del 2015, inventandosi poi lo splendido Alive in Amsterdamregistrato dal vivo nel momento della rinascita, e mettendo insieme con We’re All In This Together una formazione d’attacco composta dai migliori bluesman  in circolazione, tra cui Joe Bonamassa, Robben Ford, Warren Haynes, Sonny Landreth, Charlie Musselwhite, Kenny Wayne Shepherd e lo stesso John Mayall. Walter Trout resta uno dei più grandi chitarristi rock blues viventi (non per niente riferisce come suo modello ispiratore Mike Bloomfield) e uno fra i talenti della vecchia scuola, per i quali il concetto di album è una sacra tela su cui dipingere ogni nota con rispetto e devozione, dando  significato ad ogni disco. Blues Survivor è riservato a chi possiede la preziosa attitudine di saper cogliere la grande musica anche dietro ai brani più oscuri, meno fortunati nella diffusione ma non meno magistrali. E’ per chi non vuole sentire la solita dozzina di canzoni macinata e rimescolata ma sempre dallo stesso sapore. Qui la storia del blues è narrata passando per strade secondarie, non tanto se consideriamo gli autori, ma quanto per la scelta dei brani, raffinata, mirata, un gioco d’equilibrio tra le dodici battute e la volontà di trasmettere altro, di ricercare il Verbo al di fuori di ciò che è scontato, di mostrarne lo spirito rock, come nelle schitarrate hendrixiane su God’s War, di JB Lenoir, in chiusura del disco. Gli arrangiamenti sono  vivaci e personali, e fanno da cornice a quel favoloso modo di usare la chitarra da insider del blues, con quei riff senza tempo, quei suoni fluidi, coloriti e corposi, dentro all’ inebriante mood della città ventosa. Ma si viaggia anche fra atmosfere jazzy, come ad esempio nella sorprendente Nature’s Disappearing, presa da un vecchio album di John Mayall, (USA Union del 1970) e si vira verso confini quasi hard rock con Red Sun di Floyd Lee, dove  la Strato di Trout inchioda un pezzo solido e ritmato, mentre la voce arrochita diventa la cosa più magnetica e sensuale del disco. Chitarra e blues elettrico rimangono comunque i protagonisti di questa avventura: eloquente il sound di Be Carreful How You Vote (Sunnyland Slim) sul quale, fra serpentine di armonica e tappeti di Hammond, viene lanciato un assolo magistrale giusto per chiarire che significa saper usare le sei corde.

Survivor Blues porta verso le vette dell’entusiasmo, basti ascoltare la versione di Please Love me di BB King che sporca e rockeggia l’originale o immergersi nei ritmi funk di Woman Don’t Lie (Luther Johnson) spinta dalla potente voce di Sugaray Rayford, e ci accompagna lungo valli appartate e senza tempo, come con la flemmatica Something Inside of Me di Ellmore James o il mellifluo slow Me and My Guitar And The Blues di Jimmy Dawkins,  trascinato dall’emozionante assolo della chitarra limpida e bruciante di Trout.
Sadie, invece, diventa qualcosa di prodigioso. I natali delta di Hound Dog Taylor si fanno sentire tutte nel pezzo originale, sebbene il ragazzo ebbe successo quando si trasferì a Chicago, ma Trout prende il brano e ne fa qualcosa di profondamente personale. Il suo impudico canto e il groove di una sessione ritmica strepitosa odorano di Stax, l’organo richiama Booker T. & the MG’s, mentre gli shuffle di chitarra danno quell’inclinazione propria del blues urbano. Un salto fino alle ginocchia nel fango del Sud, lo si fa invece con Going Down To The River, di Mississippi Fred McDowell, riletta però in chiave elettrica e nella quale la chitarra di Trout si allea con la slide sopraffina di Robbie Krieger (ex Doors).

Registrato a Los Angeles, Survivor Blues vede Trout accompagnato dalla batteria di Michael Leasure, dal basso di Johnny Griparic e dalle tastiere di Skip Edwards, un combo che aderisce  allo spirito di ogni pezzo e assieme al leader sa rimodellare brani poco conosciuti con una perizia ed una lettura profonda che è l’antidoto per scongiurare un blues risaputo e canonico.

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